Il valore dell'emozione

Il marketing del click

La trappola intellettiva del social è basata sulla illusione.

Il generico "like" fa il paio con il generico "cuoricino" con la faccina indignata o di stupore. Il pianto.

Come se tutte le infinite sfumature degli stati d'animo si potessero riassumere in poche espressioni iconiche.

Il pensiero scatolato, gestione del marketing.

Così le industrie classificano e riducono le intricate psicopatie mentali in un click colorato.

Non basterebbe nemmeno avere la possibilità di poterne utilizzare almeno un paio per volta, perché non è detto che si elidono, anzi potrebbero fortificare il messaggio, per dimostrare effettivamente la reazione ad una notizia.

Ma come le caselle di una password, mettere insieme più reazioni significa processare una montagna infinita di dati, che servono, agli algoritmi, ad indicare quale marca potresti acquistare. Classificare il sentimento per sottoporre il prodotto.

Del resto, dei cani e gatti, dell'amore, della politica, interessa pochi, solo ai fanatici di settore.

Gli altri fanno sondaggi.

Chissene frega, basta che il tutto possa portare un beneficio (attenzione) economico.

Perciò, partecipare alle discussioni che fa prendere il badge del più prolifico commentatore, non vuol dire che ci riconoscono il pensiero e una comunione di intenti, avere la stessa passione oppure opinione, vuol dire una infinita sequenza di byte elaborati per poter comprendere il ceto, il pensiero, l'area geografica dove, successivamente, imporre il supermercato, la banca, la tipologia immobiliare, le candidature.

Ci illudiamo che qualcuno invece ci ascolti e ci legga per empatia o per amore del confronto, della condivisione.

In realtà, ogni profilo moltiplica, in base ai propri contatti, l'indagine e lo scouting merceologico.

Siamo in attesa di comperare "obbligatoriamente" il vaccino