Il gioco del che...
Il domandone di una vita
Che un povero cittadino debba convincere i ricchi a non votarsi è il paradosso che l'utopia insegue dai tempi di Mosé e il toro adorato (non era un vitello).
Che i poveri (circa 98 per cento) debbano ottenere i diritti per vivere una vita dignitosa è il motore di tutte le epoche e mai risolto, proprio perché ci sono i poveri che alla fine dei conti blaterano e basta senza mai organizzarsi e per questo sono poveri.
Che esista la classe media, cioè i poveri che si sentono ricchi, e si indebitano per sostenere una condizione che non c'è, e appoggiano i ricchi sperando di ottenerne un vantaggio, che non arriva e non arriverà mai, è assodato dai fatti.
Che ogni singolo individuo sia fonte di guadagno e di speculazione è un intuito che risale ai Sumeri con l'introduzione della schiavitù, dove lo sventurato pagava con la costrizione, e a volte con la vita, le circostanze politiche e culturali che lo privavano di ogni diritto e per questo veniva sottoposto ai lavori più umili e denigranti.
Che il tentativo di sfruttare le classi sociali, se pur in chiave moderna, è comunque marciante e veleggia spedito contro ogni ragionevole opposizione.
La domanda:
Tutti questi miliardi di miliardi di miliardi che intere popolazioni devono restituire, a chi vanno?
E poi il domandone finale:
Se quelli che li devono riavere ce li hanno prestati,
vuol dire che ce li avevano,
e come li avevano fatti tutti questi miliardi di miliardi,
che eravamo tutti poveri pieni di guerre?