Visione laica
Buona pasqua
A un certo punto della storia il toro diventa l'agnello.
Il terribile sacrificio si rende necessario per allearsi alla paura, l'infinito sconosciuto, l'incognita.
Sancire patti. Sacrificare il caprone, il rito sacrale da dove nasce il teatro, rappresentava il dolore e l'ammissione della propria inezia difronte alla inarrivabile comprensione della vita e della morte.
Uccidere il pezzo più importante del proprio gregge, il maschio, inteso la sorgente, era come distruggere un macchinario costato milioni di euro; anni di sostentamento.
Sacrificare il toro rappresentava il tentativo di stabilire un vincolo di pace con l'imperscrutabile mistero di Dio:
"..vedi, io ti offro il bene più prezioso che ho, lo sacrifico per dimostrare la mia comprensione alla vita, che è un dono, che senza il volere del divino non avrei potuto avere, ne me stesso, ne i campi, il bestiame e ne il resto.
Dunque non sono avido e geloso di quello che la natura mi ha dato e malgrado, l'animale sacrificato, sia il bene più prezioso, io lo rimetto nella catena della vita e della morte."
Così, come Cristo risorge e si fa icona del ciclo naturale delle cose, la morte è il sacrificio inevitabile della vita.
Nell'atto primitivo del mangiare per il sostentamento, ma anche come soddisfazione del piacere, la carne viene così assimilata in comunione, dove tutti i presenti si cibano materialmente del toro e spiritualmente del rito sacro.
In comunione, appunto, col tutto.
L'agnello pasquale è il suo diretto erede. Anch'esso icona primitiva e rituale. Rappresenta molto di più della scampagnata fuori porta.
è nel DNA culturale dell'umanità mediterranea.
E la versione tascabile della perenne solitudine che gli esseri umani tentano, rifugiandosi ognuno nel proprio credo, di patteggiare con il destino.